IL TRIBUNALE MILITARE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa contro Gallidabino Massimo, nato il 18 aprile 1968 (atto di nascita n. 180 IA) a Somma Lombardo (Varese) ed ivi residente in via S. Martino n. 8, celibe, licenza media, meccanico, incensurato, impossidente, aviere effettivo presso 8 stormo "Cervia" in Ravenna, libero, imputato di abbandono di posto (art. 120 del c.p.m.p.) perche' il 19 gennaio 1988 comandato del servizio di piantone agli alloggi truppa palazzina n. 11 dell'aeroporto di Cervia, verso le ore 13,30 abbandonava il proprio posto recandosi alla sala convegno truppa. IN FATTO ED IN DIRITTO All'odierna pubblica udienza, in presenza dell'imputato, compiute le formalita' di apertura del dibattimento, sulla richiesta del p.m. e della difesa di proseguire nel giudizio, il tribunale ha, di ufficio, sollevato le seguenti questioni di legittimita' costituzionale. Com'e' noto, con legge 7 maggio 1981, n. 180, il legislatore ha inteso "confermare" l'intero ordinamento giudiziario militare di pace alla Costituzione, disciplinando (v. art. 2 cpv.) la materia relativa allo stato giuridico ed alle garanzie d'indipendenza dei magistrati militari in materia analoga alla disciplina in vigore per i magistrati ordinari. La stessa legge, all'art. 15, nell'espressa previsione della futura costituzione dell'organo di autogoverno della magistratura militare, aveva tuttavia attribuito al Ministero della difesa, per la durata di non piu' di un anno, il compito di proporre - sentito il parere non vincolante di un comitato di esponenti di "vertice" della giustizia militare - i provvedimenti concernenti il personale della magistratura militare, compresi quelli disciplinari. Ma, com'e' anche noto, la Corte costituzionale, con decisione 9 marzo 1988, n. 266, ha dichiarato l'incostituzionalita' di detta procedura osservando che: 1) "l'obbligo del legislatore d'assicurare l'indipendenza della magistratura militare discende direttamente dall'art. 108, secondo comma, della Costituzione; 2) l'intervento del Ministro della difesa, nell'adozione dei provvedimenti di cui trattasi, dava luogo ad un sistema procedimentale che "sostanzialmente non si discosta da quello vigente anteriormente alla legge n. 180/1981, sicuramente contrastante con la Costituzione, come riconosciuto dallo stesso legislatore del 1981"; 3) "il parere del Comitato..... costituito da componenti non elettivi e pertanto non rappresentativi, non puo' valere a garantire l'indipendenza di cui all'art. 108, secondo comma, della Costituzione"; 4) "non puo' essere tollerato..... la protrazione ulteriore dell'inerzia del legislatore nell'integralmente mandare ad effetto il chiaro inequivocabile disposto di cui all'art. 108, secondo comma, della Costituzione". A far capo dal giorno successivo alla pubblicazione di tale decisione, non potendo, per interpretazione costituzionale, guardare al Ministro della difesa come al possibile suo referente, la magistratura militare ha perduto il pur minimo sostegno all'intera sua attivita', amministrativa e giudiziaria. La sentenza n. 266/1988 della Corte, togliendo di mezzo ogni strumento atto a condizionare in qualche modo i magistrati militari e, quindi, l'attivita' giudiziaria militare ha, dunque, affermato a chiare lettere, limitatamente a quel che ci riguarda quali giudicanti, che il legislatore deve immediatamente e concretamente assicurare l'indipendenza del giudice militare in ossequio al precetto dell'art. 108, secondo comma, della Costituzione. Tutto cio' vuol significare che, in assenza o nel ritardo dell'intervento legislativo, il giudice militare non e' indipendente. Per inciso, vi e' da osservare che, di seguito alla citata sentenza, era senz'altro preventivato ed inevitabile un vuoto normativo, ma non si poteva di certo immaginare, per l'importanza della questione e l'urgenza della soluzione, che tale vuoto dovesse durare cosi' a lungo, tanto a lungo da indurre il sospetto che si voglia l'abolizione di fatto della magistratura militare: in proposito, a riprova della voluta inerzia e noncuranza del problema da parte delle forze politiche, basti ricordare lo stralcio della norma sull'organo di autogoverno dei giudici militari dal progetto di legge sulla responsabilita' civile dei magistrati, divenuta poi legge 13 aprile 1988, n. 117, stralcio operato inopinatamente a sentenza della Corte costituzionale oramai pubblicata; basti, inoltre, osservare anche il disegno di legge governativo, recentemente approvato dal Consiglio dei Ministri, che, se anche celermente approvato (cio' di cui fermamente si dubita), non consentirebbe comunque il funzionamento immediato dell'organo di autogoverno essendone demandata la disciplina ad un decreto presidenziale successivo. Ora, l'inadempienza del giudice attiene, tout court, all'esercizio della giurisdizione ed e', assieme a quello dell'imparzialita', un requisito imprescindibile dell'attivita' giurisdizionale. L'indipendenza del giudice non solo e' uno dei beni direttamente protetti dalla Costituzione, ma assurge a principio fondamentale al quale l'intero ordinamento deve conformarsi. E siccome la Costituzione (artt. 101 e 108) non si limita a porre il principio dell'indipendenza del giudice speciale, ma impone con estrema chiarezza che ne sia assicurato l'effettivo rispetto, ne deriva che appaiono non conformi al precetto costituzionale non soltanto le norme che direttamente incidono sull'indipendenza del giudice ma anche quelle che, pur non determinandone un'immediata lesione, consentono di fatto che essa sia messa in pericolo. E, a parere del collegio, l'attentato piu' grave al principio di indipendenza del giudice medesimo e' dato proprio dall'inesistenza dell'organo-vertice e delle conseguenti procedure atte a garantirne il funzionamento. E', cioe', il fatto stesso che non esista un organo, peraltro "elettivo e rappresentativo" - legittimato a filtrare le istanze e le iniziative non solo degli estranei, ma anche dei propri amministrati, cio' a presidio attivo e passivo di possibili abusi - l'inconveniente piu' serio alla retta amministrazione della giustizia in genere, e di quella militare in particolare. Non per nulla, il Costituente, conscio dell'importanza dell'istituto ai fini ora detti, ha, in favore dell'ordine giudiziario ritenuto survalente, "costituzionalizzato" il Consiglio superiore della magistratura ed i compiti ad esso affidati. Ed e' certamente, questo, un discorso non settoriale o corporativo bensi' un'esigenza ineludibile del cittadino, che, nel giudice, deve per prima cosa credere, poi da quel giudice essere pienamente garantito. Sotto vari profili, a parere di questo collegio, il principio dell'indipendenza ed anche dell'imparzialita' (la partecipazione ad un organo giurisdizionale di un solo componente non indipendente e' sufficiente a minare l'imparzialita' dell'organo - Corte costituzionale sentenza n. 33/1968) del giudice militare viene vulnerato: A) con riguardo alla costituzione e struttura dei tribunali militari; B) con riguardo alla disciplina introdotta con la gia' citata legge n. 117/1988. A) Non manifestamente infondata appare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, primo comma, n. 1, del r.d. 9 settembre 1941, n. 1022 (Ordinamento giudiziario militare di pace e di guerra e norme complementari) come modificato con legge 7 maggio 1981, n. 180 (Modifiche all'ordinamento giudiziario militare di pace) e degli artt. 21 cpv.; 2, primo e secondo comma, della stessa legge n. 180/1981 in riferimento agli artt. 101, 103, terzo comma, e 108 della Costituzione. Le norme, della cui legittimita' costituzionale si dubita, riconoscono al magistrato militare lo stato giuridico, le garanzie d'indipendenza e l'avanzamento dei magistrati ordinari in quanto applicabili; affermano che la giustizia penale militare e' amministrata dai tribunali militari; stabiliscono che il tribunale militare giudica con l'intervento di due magistrati militari (i c.d. membri togati) e di un ufficiale con funzioni temporanee - due mesi - estratto a sorte (c.d. membro non togato): tutta questa normativa legittima l'esercizio del potere giurisdizionale da parte dei componenti del tribunale militare. a) In primo luogo, la questione di indipendenza e di imparzialita' del giudice si pone con riguardo al magistrato militare in quanto tale, cioe' visto nella sua identita' di componente il tribunale militare. Ora, constatato che tale componente togato manca dei requisiti essenziali posti a presidio del retto esercizio della funzione giurisdizionale, appunto l'indipendenza e l'imparzialita', guarentigie senza le quali non si ha giurisdizione, e' conseguanziale il concludere che il tribunale militare, con tale struttura, non ha piu' il potere di amministrare la giustizia penale militare, non e' piu' legittimato a svolgere la funzione per cui e' previsto dalla Costituzione. A questo punto, in via ipotetica, sulla base di un'interpretazione letterale e sistematica della Costituzione scevra dai condizionamenti della cultura giuridica preesistente e successiva, si potrebbe anche sostenere che, ai fini dell'esercizio della giurisdizione speciale del tribunale militare, non sia necessaria la componente del magistrato militare. Tale composizione non e' stata affatto recepita dalla Costituzione la quale, riferendosi nell'art. 103, terzo comma, ai tribunali militari, non ha affatto inteso cristallizzarne la composizione: tanto e' vero che la legge n. 180/1981 ha apportato sostanziali modifiche all'originaria struttura del tribunale militare e senza venire, per questo, impugnata per illegittimita' costituzionale. La bizzarria del ragionamento porterebbe, cioe', a ritenere essere il magistrato ordinario il naturale sostituto del magistrato militare, privo dei requisiti di jus dicere, nella composizione del tribunale militare: cio', sulla base di una constatazione e di due argomenti. Per la constatazione si veda il titolo IV "La Magistratura" della Carta, laddove, le uniche norme che danno atto dell'esistenza di organi di giurisdizione speciale (nel senso di organi abilitati a conoscere solo di materie appositamente e tassativamente loro attribuite) - appunto gli artt. 103 e 108 - sono inserite in modo asistematico in un contesto che tratta esclusivamente del "magistrato ordinario". Per gli argomenti, invece, si consideri che la riserva di legge voluta dall'art. 108, primo comma, della Costituzione per "le norme..... su ogni magistratura" non implica necessariamente l'identificazione tra organo di giurisdizione speciale e magistrato speciale quale componente: esempio di frattura del concetto unificante e' senz'altro la commissione tributaria che e' certamente organo di giurisdizione speciale ma che tuttavia e' composta tra gli altri o presieduta da un magistrato ordinario. In proposito, non sembrerebbe neppure concludente il secondo comma dell'art. 108 laddove, in mancanza di una precisazione circa i giudici cui la legge deve garantire l'indipendenza, si lascerebbe insoluto il dubbio se la guarentigia spetti unicamente al giudice non togato della giurisdizione speciale visto che il magistrato togato - appunto appartenente all'ordine giudiziario - gia' ne beneficerebbe in virtu' dell'art. 104 della Costituzione: d'altronde, dell'intento di limitare quella garanzia ai non togati ed "agli estranei che partecipano all'amministrazione della giustizia" delle giurisdizioni speciali sintomatico apparirebbe il fatto che nel detto titolo IV si parla sempre di "magistrati" quali appartenenti all'ordine giudiziario, salvo che nell'art. 101 e nell'art. 102, secondo comma, dove si affermano due principi di carattere generale validi per tutte le magistrature. Ma ritornando al concreto, l'ora svolto discorso non e' sostenibile, perche', secondo l'elaborazione giuridica corrente, costituzionale e non (la citata ultima sentenza della Corte costituzionale lo riafferma in modo tassativo), la particolare composizione del tribunale militare, caratterizzata dalla presenza del magistrato militare e dell'appartenente alle FF.AA., e' sopravvissuta alla Costituzione. Per cui unicamente nell'art. 108 si deve far riferimento per l'indipendenza dei componenti il collegio giudiziario militare. Detto principio garantistico, come era costituzionalmente richiesto, e' stato ripreso espressamente dalla legge n. 180/1981 (all'art. 1, secondo comma) la quale, tuttavia, non ha predisposto le condizioni, costituzionalmente legittime, per la concreta attuazione di esso principio. A questo proposito basti ricordare cio' che fin dal 1969 (sentenza n. 60) la Corte costituzionale insegna "I precetti costituzionali di cui all'art. 101, secondo comma, della Costituzione non enunciano principi di massima destinati a trovare concreta applicazione in sede di futura revisione delle giurisdizioni speciali, ma dettano regole di immediata attuazione come ha ritenuto costantemente la Corte costituzionale tutte le volte che ha esaminato la sussistenza dei requisiti dell'indipendenza e dell'imparzialita' in rapporto a giurisdizioni speciali, anche alla stregua della disciplina risultante da norme gia' esistenti prima dell'entrata in vigore della Carta costituzionale". b) In secondo luogo, anche la posizione del membro non togato nel collegio appare in contrasto con la Costituzione per gli stessi motivi. La legge n. 180/1981 predispone, all'art. 2, un meccanismo per la scelta dell'ufficiale-giudice (estrazione a sorte tra gli ufficiali - aventi grado pari a quello dell'imputato - che prestano servizio nella circoscrizione del tribunale militare), ne prefissa la durata del mandato giudiziario, ma non introduce alcuna limitazione alla potesta' gerarchico disciplinare del comando o ente presso cui presta servizio. La censura di legittimita' riguarda proprio il fatto che quel giudice non sia stato svincolato o tutelato dalle iniziative condizionanti eventualmente adottabili nei soli confronti dalle gerarchie militari per giudizi o voti espressi nell'esercizio delle funzioni giudiziarie. Pericolo di condizionamento, oggi, divenuto ancor piu' grave e tangibile con l'entrata in vigore della legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilita' civile dei magistrati) che, come di seguito si vedra' ha apportato eccezioni al principio della segretezza sui voti espressi in camera di consiglio. Per tutti questi motivi, si deve ritenere che sia il magistrato militare che l'ufficiale-giudice, privi di ogni garanzia di indipendenza, non possano assicurare, a favore del cittadino-soldato, l'esigenza di imparzialita' (assenza di qualsiasi aspettativa di vantaggi o il timore di qualche pregiudizio). In tale condizione (e non e' senza significato che la Corte costituzionale abbia negato le caratteristiche della giurisdizione all'attivita' del comandante di porto - sentenza n. 92/1962 - e dell'intendente di finanza - sentenza n. 60/1969 - proprio per il difetto del requisito della indipendenza; v. anche sentenza n. 278/1987), il tribunale militare, nella sua attuale composizione, e' privo della potesta' giurisdizionale, con indubbia ed evidente alterazione dei meccanismi costituzionali. Si ravvisa, percio', un primo ordine di motivi di conflitto con gli artt. 101, 103, terzo comma, 108, primo e secondo comma, della Costituzione delle sopra indicate norme ordinamentali nella parte in cui non prevedono concrete misure e strutture organizzative tali da garantire l'autonomia, l'indipendenza, l'imparzialita' del giudice militare. B) Ancora di un problema di indipendenza e di imparzialita' del giudice si tratta nel ritenere fondata la seconda questione di legittimita' costituzionale degli artt. 2, 7, 9 e 16 della citata legge n. 117/1988 sulla responsabilita' civile dei giudici. a) Invero, l'enucleazione di una responsabilita' per colpa grave del singolo giudice, con relativa azione di rivalsa dello Stato, appare sufficientemente idonea a porne in pericolo l'indipendenza. Non si puo', infatti, negare che la possibilita' concreta di subire un giudizio civile per fatto colposo commesso nell'esercizio delle proprie funzioni giurisdizionali, inneschi, nell'atteggiamento mentale del giudice, al momento di decidere, dei meccanismi di psicologica, preventiva, autodifesa tali da compromettere il normale ed equilibrato svolgersi del proprio convincimento. Il giudicante, cioe', per evitare possibili conseguenze dannose al suo patrimonio potrebbe sentirsi portato non tanto all'imparziale applicazione della legge quanto ad una decisione piu' favorevole all'imputato dal quale, in prospettiva, potrebbe subire un danno. Effetto, questo, che la stessa Corte costituzionale ha piu' volte stigmatizzato fin dalla sentenza n. 60/1969, laddove aveva affermato che "il principio di indipendenza e' volto ad assicurare l'imparzialita' del giudice, o meglio, l'esclusione di ogni pericolo di parzialita', onde garantirgli una posizione assolutamente super partes". Senza contare che il rappresentarsi il pericolo derivante dal carattere personalistico dell'azione di risarcimento (esperita, cioe', nei confronti di un solo giudice) puo' in concreto incidere in maniera determinante e deleteria sull'equilibrio del processo decisionale: non vi e' dubbio, infatti, che la semplice proposizione della domanda di risarcimento e' di per se' idonea a determinare un discredito difficilmente eliminabile in concreto (cio' a prescindere dall'esito dell'azione) e, comunque, gravemente lesivo del prestigio del singolo giudice, senza contare gli ulteriori, generalizzati, effetti negativi sull'intero apparato della giustizia. Un rilievo ancor maggiore assume la questione dell'indipendenza, qualora si esamini la particolare struttura del tribunale militare, caratterizzata dalla presenza del "rappresentante" delle FF.AA. Quest'ultimo e' membro del tribunale militare proprio perche' appartiene all'istituzione militare ed il suo incarico di giudice non togato non e' che un aspetto (eventuale e temporaneo) del suo servizio di ufficiale. Egli, quindi, nella ricorrenza di condizioni peraltro fortuite (l'estrazione a sorte), e' vincolato ad un impegno dal quale non puo' esimersi: da quel momento fa parte obbligatoriamente di una struttura ed assume per questo solo fatto, un complesso di responsabilita' che sono senz'altro maggiori (in ogni caso, ha in piu' la soggezione alla responsabilita' disciplinare) di quelle proprie di altro cittadino estraneo alla magistratura che concorre a formare l'organo collegiale (v. art. 7 della legge n. 117/1988). Qui si vuol mettere in evidenza non il contrasto di tale disciplina con il principio di eguglianza di cui all'art. 3 della Costituzione (contrasto che pur sussiste e che tuttavia sembra qui non rilevante non vertendosi in materia di risarcimento o di rivalsa) ma piuttosto il contrasto con il principio di indipendenza: invero, questo giudice non togato, nel momento del giudizio, puo' ben rappresentarsi, a scapito di un sereno giudizio, che i superiori gerarchici titolari dell'azione disciplinare per i fatti di cui al combinato disposto dell'art. 2, terzo comma, b) e c) e dell'art. 7, terzo comma, della legge n. 177/1988 sono gli stessi suoi superiori titolari della potesta' di valutare l'ammissibilita' e la fondatezza dell'azione disciplinare medesima. A questo proposito, si e' detto giustamente che ad un cosi' grave risultato non si era giunti nemmeno nel periodo dello Stato pre-costituzionale, quando le piu' gravi decisioni disciplinari nei confronti degli ufficiali aventi funzioni giudiziarie venivano adottate dal competente Ministro solo su proposta del tribunale supremo militare (art. 51 del r.d. 9 settembre 1941, n. 1022). Da tutto quanto finora detto deriva, a giudizio di questo collegio, l'illegittimita' costituzionale degli artt. 2, 7 e 9 della legge 13 aprile 1988, n. 117, in relazione agli artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione nella parte in cui, stabilendo la responsabilita' civile per colpa grave del giudice nell'esercizio della funzione giurisdizionale, nonche' la correlativa responsabilita' disciplinare anche per l'ufficiale-giudice, ledono il principio dell'esclusiva soggezione del giudice alla legge ed il principio della indipendenza dello stesso. b) Ultima contraddizione con il disposto costituzionale dei piu' volte richiamati artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione si ravvisa nell'art. 16 della citata legge n. 117/1988, laddove e' previsto l'obbligo degli organi giudiziari collegiali di compilare un sommario processo verbale contenente la menzione dell'unanimita' della decisione o il dissenso eventualmente espresso da qualche giudice. Tale obbligo viola il principio che la deliberazione della sentenza e' sempre segreta. Attraverso il segreto si intende garantire la genuinita' della formazione del convincimento del giudice che puo' ottenersi solo se egli e' e si sente scevro da pregiudizi, condizionamenti esterni o preoccupazioni estranee che possono in qualsiasi modo compromettere la sua decisione e la liberta' nell'assumerla: ora, anche l'astratta possibilita' che tale sua decisione possa essere conosciuta all'esterno influenza senz'altro non solo il libero convincimento di ciascun giudice, ma anche quello degli altri componenti il collegio. A prescindere dalla considerazione che, almeno per il nostro ordinamento giuridico, la decisione collegiale e' unica e non la somma di decisioni singole, cosa che invece verrebbe messa in discussione con l'obbligo di verbalizzazione, e' da osservare che tale obbligo non elimina il principio del segreto ma lo condiziona all'interesse e all'iniziativa di una parte, fatto che appare estremamente illogico e confliggente con l'interesse pubblico ad un sereno giudizio. Non sembra infine il caso di aggiungere, perche' piu' sopra illustrato, come, nel tribunale militare gli effetti della verbalizzazione siano piu' gravi nei confronti soprattutto dell'ufficiale-giudice esposto piu' che gli altri a ritorsioni della gerarchia survalente. Per questi motivi, si ritiene che la norma di cui all'art. 16 della legge n. 117/1988 confligga con gli artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione nei limiti in cui intacca gravemente il principio della segretezza delle deliberazioni consiliari posta a presidio dell'imparziale esercizio della giurisdizione. Le descritte questioni di incostituzionalita' ritenute non manifestamente infondate, sono certamente anche rilevanti nel presente procedimento, essendo evidente che la normativa sulla costituzione di questo stesso collegio, sulla responsabilita' civile e disciplinare dei suoi singoli componenti e sul loro stato giuridico, normativa ritenuta viziata con riferimento alle garanzie di indipendenza e di imparzialita', influisce sulla formazione dei loro singoli convincimenti di tal che' la stessa decisione puo' di riflesso risultare viziata. "Ove si accedesse ad una diversa conclusione le norme ordinarie relative alla costituzione del giudice, ordinario o speciale, ed all'effettivo esercizio della potesta' giurisdizionale, sarebbero assurdamente sottratte al vaglio di costituzionalita' di questa Corte, potendo le parti non aver interesse a sollevare, in giudizio, eccezioni relative alla non regolare costituzione del giudice od alla mancanza di adeguate garanzie d'indipendenza degli organi giudiziari coinvolti nella decisione dei vari casi di specie" (da Corte costituzionale sentenza n. 266/1988).