IL TRIBUNALE MILITARE
    Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza  nella  causa  contro
 Gallidabino Massimo, nato il 18 aprile 1968 (atto di nascita n.   180
 IA)  a Somma Lombardo (Varese) ed ivi residente in via S.  Martino n.
 8,  celibe,  licenza  media,  meccanico,  incensurato,  impossidente,
 aviere  effettivo  presso  8›  stormo  "Cervia"  in  Ravenna, libero,
 imputato di abbandono di posto (art. 120 del c.p.m.p.) perche' il  19
 gennaio  1988  comandato del servizio di piantone agli alloggi truppa
 palazzina  n.  11  dell'aeroporto  di  Cervia,  verso  le  ore  13,30
 abbandonava il proprio posto recandosi alla sala convegno truppa.
                         IN FATTO ED IN DIRITTO
    All'odierna  pubblica udienza, in presenza dell'imputato, compiute
 le formalita' di apertura del dibattimento, sulla richiesta del  p.m.
 e  della  difesa  di  proseguire  nel  giudizio,  il tribunale ha, di
 ufficio,   sollevato   le   seguenti   questioni   di    legittimita'
 costituzionale.
    Com'e'  noto,  con  legge 7 maggio 1981, n. 180, il legislatore ha
 inteso "confermare" l'intero ordinamento giudiziario militare di pace
 alla Costituzione, disciplinando (v. art. 2 cpv.) la materia relativa
 allo stato giuridico ed alle garanzie d'indipendenza  dei  magistrati
 militari   in  materia  analoga  alla  disciplina  in  vigore  per  i
 magistrati ordinari.
    La  stessa  legge,  all'art.  15,  nell'espressa  previsione della
 futura costituzione dell'organo  di  autogoverno  della  magistratura
 militare, aveva tuttavia attribuito al Ministero della difesa, per la
 durata di non piu' di un anno, il compito di proporre  -  sentito  il
 parere  non vincolante di un comitato di esponenti di "vertice" della
 giustizia militare - i provvedimenti concernenti il  personale  della
 magistratura militare, compresi quelli disciplinari. Ma, com'e' anche
 noto, la Corte costituzionale, con decisione 9 marzo 1988, n. 266, ha
 dichiarato l'incostituzionalita' di detta procedura osservando che:
      1)  "l'obbligo del legislatore d'assicurare l'indipendenza della
 magistratura militare discende direttamente  dall'art.  108,  secondo
 comma, della Costituzione;
      2)  l'intervento  del  Ministro  della difesa, nell'adozione dei
 provvedimenti  di  cui   trattasi,   dava   luogo   ad   un   sistema
 procedimentale che "sostanzialmente non si discosta da quello vigente
 anteriormente alla legge n. 180/1981, sicuramente contrastante con la
 Costituzione, come riconosciuto dallo stesso legislatore del 1981";
      3)  "il  parere  del  Comitato..... costituito da componenti non
 elettivi e pertanto non rappresentativi, non puo' valere a  garantire
 l'indipendenza   di   cui   all'art.   108,   secondo   comma,  della
 Costituzione";
      4)  "non  puo'  essere  tollerato.....  la protrazione ulteriore
 dell'inerzia del legislatore nell'integralmente mandare ad effetto il
 chiaro  inequivocabile  disposto  di cui all'art. 108, secondo comma,
 della Costituzione".
    A  far  capo  dal  giorno  successivo  alla  pubblicazione di tale
 decisione, non potendo, per interpretazione costituzionale,  guardare
 al  Ministro  della  difesa  come  al  possibile  suo  referente,  la
 magistratura militare ha perduto il pur  minimo  sostegno  all'intera
 sua attivita', amministrativa e giudiziaria.
    La  sentenza  n.  266/1988  della  Corte,  togliendo di mezzo ogni
 strumento atto a condizionare in qualche modo i  magistrati  militari
 e,  quindi,  l'attivita' giudiziaria militare ha, dunque, affermato a
 chiare  lettere,  limitatamente  a  quel  che   ci   riguarda   quali
 giudicanti,  che  il  legislatore deve immediatamente e concretamente
 assicurare  l'indipendenza  del  giudice  militare  in  ossequio   al
 precetto dell'art. 108, secondo comma, della Costituzione.
    Tutto  cio'  vuol  significare  che,  in  assenza  o  nel  ritardo
 dell'intervento legislativo, il giudice militare non e' indipendente.
    Per  inciso,  vi  e'  da  osservare  che,  di  seguito alla citata
 sentenza,  era  senz'altro  preventivato  ed  inevitabile  un   vuoto
 normativo,  ma  non  si  poteva di certo immaginare, per l'importanza
 della questione e l'urgenza della soluzione, che tale  vuoto  dovesse
 durare  cosi'  a  lungo,  tanto a lungo da indurre il sospetto che si
 voglia  l'abolizione  di  fatto  della  magistratura   militare:   in
 proposito,  a  riprova della voluta inerzia e noncuranza del problema
 da parte delle forze politiche, basti  ricordare  lo  stralcio  della
 norma sull'organo di autogoverno dei giudici militari dal progetto di
 legge sulla responsabilita' civile dei magistrati, divenuta poi legge
 13  aprile  1988,  n. 117, stralcio operato inopinatamente a sentenza
 della  Corte  costituzionale  oramai  pubblicata;   basti,   inoltre,
 osservare   anche  il  disegno  di  legge  governativo,  recentemente
 approvato dal  Consiglio  dei  Ministri,  che,  se  anche  celermente
 approvato  (cio'  di  cui  fermamente  si  dubita), non consentirebbe
 comunque  il  funzionamento  immediato  dell'organo  di   autogoverno
 essendone   demandata  la  disciplina  ad  un  decreto  presidenziale
 successivo.
    Ora, l'inadempienza del giudice attiene, tout court, all'esercizio
 della giurisdizione ed e', assieme a  quello  dell'imparzialita',  un
 requisito     imprescindibile     dell'attivita'     giurisdizionale.
 L'indipendenza del giudice non solo  e'  uno  dei  beni  direttamente
 protetti  dalla  Costituzione, ma assurge a principio fondamentale al
 quale  l'intero  ordinamento   deve   conformarsi.   E   siccome   la
 Costituzione  (artt.  101  e  108) non si limita a porre il principio
 dell'indipendenza  del  giudice  speciale,  ma  impone  con   estrema
 chiarezza  che  ne sia assicurato l'effettivo rispetto, ne deriva che
 appaiono non conformi al  precetto  costituzionale  non  soltanto  le
 norme  che  direttamente  incidono  sull'indipendenza  del giudice ma
 anche  quelle  che,  pur  non  determinandone  un'immediata  lesione,
 consentono di fatto che essa sia messa in pericolo.
    E,  a  parere del collegio, l'attentato piu' grave al principio di
 indipendenza del giudice medesimo e'  dato  proprio  dall'inesistenza
 dell'organo-vertice  e  delle conseguenti procedure atte a garantirne
 il funzionamento. E', cioe',  il  fatto  stesso  che  non  esista  un
 organo,   peraltro  "elettivo  e  rappresentativo"  -  legittimato  a
 filtrare le istanze e le iniziative non solo degli estranei, ma anche
 dei  propri  amministrati,  cio'  a  presidio  attivo  e  passivo  di
 possibili   abusi   -   l'inconveniente   piu'   serio   alla   retta
 amministrazione  della  giustizia  in genere, e di quella militare in
 particolare. Non per nulla, il Costituente,  conscio  dell'importanza
 dell'istituto   ai   fini   ora  detti,  ha,  in  favore  dell'ordine
 giudiziario ritenuto survalente, "costituzionalizzato"  il  Consiglio
 superiore  della  magistratura  ed  i compiti ad esso affidati. Ed e'
 certamente, questo, un discorso non settoriale o  corporativo  bensi'
 un'esigenza  ineludibile  del  cittadino,  che, nel giudice, deve per
 prima cosa credere, poi da quel giudice essere pienamente  garantito.
    Sotto  vari  profili,  a  parere  di questo collegio, il principio
 dell'indipendenza ed anche dell'imparzialita' (la  partecipazione  ad
 un  organo  giurisdizionale di un solo componente non indipendente e'
 sufficiente   a   minare   l'imparzialita'   dell'organo   -    Corte
 costituzionale  sentenza  n.  33/1968)  del  giudice  militare  viene
 vulnerato:
       A)  con  riguardo  alla  costituzione e struttura dei tribunali
 militari;
      B)  con  riguardo  alla disciplina introdotta con la gia' citata
 legge n. 117/1988.
    A)   Non   manifestamente   infondata   appare   la  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 1, primo comma, n. 1, del  r.d.
 9 settembre 1941, n. 1022 (Ordinamento giudiziario militare di pace e
 di guerra e norme complementari) come modificato con legge  7  maggio
 1981, n. 180 (Modifiche all'ordinamento giudiziario militare di pace)
 e degli artt. 21 cpv.; 2, primo e secondo comma, della  stessa  legge
 n.  180/1981  in  riferimento agli artt. 101, 103, terzo comma, e 108
 della Costituzione.
    Le   norme,  della  cui  legittimita'  costituzionale  si  dubita,
 riconoscono al magistrato militare lo stato  giuridico,  le  garanzie
 d'indipendenza  e  l'avanzamento  dei  magistrati  ordinari in quanto
 applicabili;  affermano  che  la   giustizia   penale   militare   e'
 amministrata  dai  tribunali  militari; stabiliscono che il tribunale
 militare giudica con l'intervento di due magistrati militari (i  c.d.
 membri togati) e di un ufficiale con funzioni temporanee - due mesi -
 estratto a sorte (c.d. membro non  togato):  tutta  questa  normativa
 legittima   l'esercizio  del  potere  giurisdizionale  da  parte  dei
 componenti del tribunale militare.
    a) In primo luogo, la questione di indipendenza e di imparzialita'
 del giudice si pone con riguardo al  magistrato  militare  in  quanto
 tale,  cioe'  visto  nella  sua  identita' di componente il tribunale
 militare.
    Ora,  constatato  che  tale  componente togato manca dei requisiti
 essenziali posti  a  presidio  del  retto  esercizio  della  funzione
 giurisdizionale,    appunto    l'indipendenza    e   l'imparzialita',
 guarentigie senza le quali non si ha giurisdizione, e' conseguanziale
 il  concludere  che il tribunale militare, con tale struttura, non ha
 piu' il potere di amministrare la giustizia penale militare,  non  e'
 piu'  legittimato  a  svolgere  la funzione per cui e' previsto dalla
 Costituzione.
    A questo punto, in via ipotetica, sulla base di un'interpretazione
 letterale e sistematica della Costituzione scevra dai condizionamenti
 della  cultura giuridica preesistente e successiva, si potrebbe anche
 sostenere che, ai fini dell'esercizio  della  giurisdizione  speciale
 del   tribunale  militare,  non  sia  necessaria  la  componente  del
 magistrato militare.
    Tale composizione non e' stata affatto recepita dalla Costituzione
 la quale,  riferendosi  nell'art.  103,  terzo  comma,  ai  tribunali
 militari,  non  ha  affatto  inteso  cristallizzarne la composizione:
 tanto e' vero che la  legge  n.  180/1981  ha  apportato  sostanziali
 modifiche  all'originaria  struttura  del  tribunale militare e senza
 venire, per questo, impugnata per illegittimita'  costituzionale.  La
 bizzarria  del  ragionamento  porterebbe, cioe', a ritenere essere il
 magistrato ordinario il naturale sostituto del  magistrato  militare,
 privo  dei  requisiti di jus dicere, nella composizione del tribunale
 militare: cio', sulla base di una constatazione e di due argomenti.
    Per  la constatazione si veda il titolo IV "La Magistratura" della
 Carta, laddove, le uniche norme  che  danno  atto  dell'esistenza  di
 organi  di  giurisdizione  speciale  (nel senso di organi abilitati a
 conoscere  solo  di  materie  appositamente  e  tassativamente   loro
 attribuite)  -  appunto  gli  artt. 103 e 108 - sono inserite in modo
 asistematico in un contesto che tratta esclusivamente del "magistrato
 ordinario". Per gli argomenti, invece, si consideri che la riserva di
 legge voluta dall'art. 108, primo comma, della Costituzione  per  "le
 norme.....   su   ogni   magistratura"  non  implica  necessariamente
 l'identificazione tra organo di giurisdizione speciale  e  magistrato
 speciale   quale   componente:   esempio  di  frattura  del  concetto
 unificante e' senz'altro la commissione tributaria che e'  certamente
 organo  di giurisdizione speciale ma che tuttavia e' composta tra gli
 altri o presieduta da un  magistrato  ordinario.  In  proposito,  non
 sembrerebbe  neppure  concludente  il  secondo  comma  dell'art.  108
 laddove, in mancanza di una precisazione circa i giudici cui la legge
 deve garantire l'indipendenza, si lascerebbe insoluto il dubbio se la
 guarentigia  spetti  unicamente   al   giudice   non   togato   della
 giurisdizione  speciale  visto  che  il  magistrato  togato - appunto
 appartenente all'ordine giudiziario - gia' ne beneficerebbe in virtu'
 dell'art.   104   della  Costituzione:  d'altronde,  dell'intento  di
 limitare  quella  garanzia  ai  non  togati  ed  "agli  estranei  che
 partecipano  all'amministrazione della giustizia" delle giurisdizioni
 speciali sintomatico apparirebbe il fatto che nel detto titolo IV  si
 parla   sempre   di   "magistrati"   quali   appartenenti  all'ordine
 giudiziario, salvo che nell'art. 101 e nell'art. 102, secondo  comma,
 dove si affermano due principi di carattere generale validi per tutte
 le magistrature.
   Ma   ritornando   al   concreto,   l'ora  svolto  discorso  non  e'
 sostenibile,  perche',  secondo  l'elaborazione  giuridica  corrente,
 costituzionale   e   non  (la  citata  ultima  sentenza  della  Corte
 costituzionale  lo  riafferma  in  modo  tassativo),  la  particolare
 composizione  del  tribunale  militare, caratterizzata dalla presenza
 del  magistrato  militare  e  dell'appartenente   alle   FF.AA.,   e'
 sopravvissuta  alla Costituzione. Per cui unicamente nell'art. 108 si
 deve far riferimento per l'indipendenza dei  componenti  il  collegio
 giudiziario   militare.   Detto   principio  garantistico,  come  era
 costituzionalmente richiesto, e' stato  ripreso  espressamente  dalla
 legge n. 180/1981 (all'art. 1, secondo comma) la quale, tuttavia, non
 ha predisposto le condizioni, costituzionalmente  legittime,  per  la
 concreta attuazione di esso principio.
    A questo proposito basti ricordare cio' che fin dal 1969 (sentenza
 n. 60) la Corte costituzionale insegna "I precetti costituzionali  di
 cui  all'art.  101,  secondo  comma, della Costituzione non enunciano
 principi di massima destinati a trovare concreta applicazione in sede
 di  futura  revisione delle giurisdizioni speciali, ma dettano regole
 di immediata attuazione  come  ha  ritenuto  costantemente  la  Corte
 costituzionale  tutte  le  volte  che ha esaminato la sussistenza dei
 requisiti  dell'indipendenza  e  dell'imparzialita'  in  rapporto   a
 giurisdizioni   speciali,   anche   alla   stregua  della  disciplina
 risultante da norme gia' esistenti prima dell'entrata in vigore della
 Carta costituzionale".
    b)  In secondo luogo, anche la posizione del membro non togato nel
 collegio appare in contrasto  con  la  Costituzione  per  gli  stessi
 motivi.  La  legge  n. 180/1981 predispone, all'art. 2, un meccanismo
 per la scelta dell'ufficiale-giudice  (estrazione  a  sorte  tra  gli
 ufficiali  -  aventi grado pari a quello dell'imputato - che prestano
 servizio nella circoscrizione del tribunale militare), ne prefissa la
 durata  del  mandato giudiziario, ma non introduce alcuna limitazione
 alla potesta' gerarchico disciplinare del comando o ente  presso  cui
 presta servizio. La censura di legittimita' riguarda proprio il fatto
 che quel giudice non sia stato svincolato o tutelato dalle iniziative
 condizionanti  eventualmente  adottabili  nei  soli  confronti  dalle
 gerarchie militari per giudizi o voti espressi  nell'esercizio  delle
 funzioni  giudiziarie.  Pericolo  di  condizionamento, oggi, divenuto
 ancor piu' grave e tangibile con l'entrata in vigore della  legge  13
 aprile  1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio
 delle funzioni giudiziarie e responsabilita' civile  dei  magistrati)
 che,  come  di  seguito si vedra' ha apportato eccezioni al principio
 della segretezza sui voti espressi in camera di consiglio.
    Per  tutti  questi  motivi, si deve ritenere che sia il magistrato
 militare  che  l'ufficiale-giudice,  privi  di   ogni   garanzia   di
 indipendenza, non possano assicurare, a favore del cittadino-soldato,
 l'esigenza di imparzialita'  (assenza  di  qualsiasi  aspettativa  di
 vantaggi  o  il timore di qualche pregiudizio). In tale condizione (e
 non e' senza significato che la Corte costituzionale abbia negato  le
 caratteristiche  della  giurisdizione all'attivita' del comandante di
 porto - sentenza n. 92/1962 - e dell'intendente di finanza - sentenza
 n. 60/1969 - proprio per il difetto del requisito della indipendenza;
 v. anche sentenza n. 278/1987),  il  tribunale  militare,  nella  sua
 attuale  composizione,  e'  privo della potesta' giurisdizionale, con
 indubbia ed evidente alterazione dei meccanismi costituzionali.
    Si  ravvisa,  percio',  un primo ordine di motivi di conflitto con
 gli artt. 101, 103, terzo comma, 108, primo e  secondo  comma,  della
 Costituzione  delle sopra indicate norme ordinamentali nella parte in
 cui non prevedono concrete misure e strutture organizzative  tali  da
 garantire  l'autonomia,  l'indipendenza,  l'imparzialita' del giudice
 militare.
    B)  Ancora  di  un problema di indipendenza e di imparzialita' del
 giudice si tratta  nel  ritenere  fondata  la  seconda  questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli  artt.  2, 7, 9 e 16 della citata
 legge n. 117/1988 sulla responsabilita' civile dei giudici.
    a)  Invero,  l'enucleazione di una responsabilita' per colpa grave
 del singolo giudice, con relativa  azione  di  rivalsa  dello  Stato,
 appare  sufficientemente  idonea  a porne in pericolo l'indipendenza.
 Non si puo', infatti, negare che la possibilita' concreta  di  subire
 un  giudizio  civile  per fatto colposo commesso nell'esercizio delle
 proprie  funzioni   giurisdizionali,   inneschi,   nell'atteggiamento
 mentale  del  giudice,  al  momento  di  decidere,  dei meccanismi di
 psicologica, preventiva, autodifesa tali da compromettere il  normale
 ed  equilibrato  svolgersi  del proprio convincimento. Il giudicante,
 cioe', per evitare possibili conseguenze dannose  al  suo  patrimonio
 potrebbe sentirsi portato non tanto all'imparziale applicazione della
 legge quanto ad una decisione piu' favorevole all'imputato dal quale,
 in  prospettiva,  potrebbe  subire  un danno. Effetto, questo, che la
 stessa Corte costituzionale ha piu'  volte  stigmatizzato  fin  dalla
 sentenza  n.  60/1969,  laddove  aveva affermato che "il principio di
 indipendenza e' volto ad assicurare l'imparzialita'  del  giudice,  o
 meglio,   l'esclusione   di   ogni   pericolo  di  parzialita',  onde
 garantirgli una posizione assolutamente super partes". Senza  contare
 che   il   rappresentarsi   il   pericolo   derivante  dal  carattere
 personalistico dell'azione  di  risarcimento  (esperita,  cioe',  nei
 confronti  di  un  solo giudice) puo' in concreto incidere in maniera
 determinante e deleteria sull'equilibrio  del  processo  decisionale:
 non vi e' dubbio, infatti, che la semplice proposizione della domanda
 di risarcimento e' di per se'  idonea  a  determinare  un  discredito
 difficilmente  eliminabile in concreto (cio' a prescindere dall'esito
 dell'azione) e, comunque, gravemente lesivo del prestigio del singolo
 giudice, senza contare gli ulteriori, generalizzati, effetti negativi
 sull'intero apparato della giustizia.
    Un  rilievo  ancor maggiore assume la questione dell'indipendenza,
 qualora si esamini la particolare struttura del  tribunale  militare,
 caratterizzata dalla presenza del "rappresentante" delle FF.AA.
    Quest'ultimo  e'  membro  del  tribunale  militare proprio perche'
 appartiene all'istituzione militare ed il suo incarico di giudice non
 togato  non  e'  che  un  aspetto  (eventuale  e  temporaneo) del suo
 servizio di ufficiale. Egli, quindi, nella ricorrenza  di  condizioni
 peraltro  fortuite (l'estrazione a sorte), e' vincolato ad un impegno
 dal  quale  non   puo'   esimersi:   da   quel   momento   fa   parte
 obbligatoriamente  di  una struttura ed assume per questo solo fatto,
 un complesso di responsabilita' che sono senz'altro maggiori (in ogni
 caso,  ha in piu' la soggezione alla responsabilita' disciplinare) di
 quelle proprie di altro  cittadino  estraneo  alla  magistratura  che
 concorre  a  formare  l'organo  collegiale  (v. art. 7 della legge n.
 117/1988). Qui si vuol mettere in evidenza non il contrasto  di  tale
 disciplina  con  il  principio  di eguglianza di cui all'art. 3 della
 Costituzione (contrasto che pur sussiste e che  tuttavia  sembra  qui
 non rilevante non vertendosi in materia di risarcimento o di rivalsa)
 ma piuttosto il contrasto con il principio di  indipendenza:  invero,
 questo  giudice  non  togato,  nel  momento  del  giudizio,  puo' ben
 rappresentarsi, a scapito di un  sereno  giudizio,  che  i  superiori
 gerarchici  titolari  dell'azione  disciplinare per i fatti di cui al
 combinato disposto dell'art. 2, terzo comma, b) e c) e  dell'art.  7,
 terzo  comma,  della legge n. 177/1988 sono gli stessi suoi superiori
 titolari della potesta' di valutare l'ammissibilita' e la  fondatezza
 dell'azione  disciplinare  medesima.  A questo proposito, si e' detto
 giustamente che ad un cosi' grave risultato non si era giunti nemmeno
 nel  periodo  dello  Stato  pre-costituzionale,  quando le piu' gravi
 decisioni disciplinari nei confronti degli ufficiali aventi  funzioni
 giudiziarie   venivano  adottate  dal  competente  Ministro  solo  su
 proposta del tribunale supremo militare (art. 51 del r.d. 9 settembre
 1941, n. 1022).
    Da  tutto  quanto  finora  detto  deriva,  a  giudizio  di  questo
 collegio, l'illegittimita' costituzionale degli artt. 2, 7 e 9  della
 legge  13  aprile  1988, n. 117, in relazione agli artt. 101, secondo
 comma, e 108, secondo comma, della Costituzione nella parte  in  cui,
 stabilendo  la  responsabilita'  civile  per  colpa grave del giudice
 nell'esercizio della funzione giurisdizionale, nonche' la correlativa
 responsabilita' disciplinare anche per l'ufficiale-giudice, ledono il
 principio dell'esclusiva soggezione del  giudice  alla  legge  ed  il
 principio della indipendenza dello stesso.
    b)  Ultima  contraddizione con il disposto costituzionale dei piu'
 volte richiamati artt. 101, secondo  comma,  e  108,  secondo  comma,
 della  Costituzione  si  ravvisa  nell'art.  16 della citata legge n.
 117/1988, laddove  e'  previsto  l'obbligo  degli  organi  giudiziari
 collegiali  di  compilare  un sommario processo verbale contenente la
 menzione dell'unanimita' della decisione o il dissenso  eventualmente
 espresso da qualche giudice.
    Tale  obbligo  viola  il  principio  che  la  deliberazione  della
 sentenza  e'  sempre  segreta.  Attraverso  il  segreto  si   intende
 garantire  la  genuinita'  della  formazione  del  convincimento  del
 giudice che puo' ottenersi solo se egli  e'  e  si  sente  scevro  da
 pregiudizi,  condizionamenti  esterni  o  preoccupazioni estranee che
 possono in  qualsiasi  modo  compromettere  la  sua  decisione  e  la
 liberta'  nell'assumerla: ora, anche l'astratta possibilita' che tale
 sua  decisione  possa   essere   conosciuta   all'esterno   influenza
 senz'altro  non  solo  il libero convincimento di ciascun giudice, ma
 anche quello degli altri componenti il collegio. A prescindere  dalla
 considerazione  che,  almeno  per il nostro ordinamento giuridico, la
 decisione collegiale e' unica e non la somma  di  decisioni  singole,
 cosa  che  invece  verrebbe  messa  in  discussione  con l'obbligo di
 verbalizzazione, e' da osservare che  tale  obbligo  non  elimina  il
 principio del segreto ma lo condiziona all'interesse e all'iniziativa
 di una parte, fatto che appare estremamente illogico  e  confliggente
 con l'interesse pubblico ad un sereno giudizio.
    Non  sembra  infine  il  caso  di  aggiungere,  perche' piu' sopra
 illustrato,  come,  nel  tribunale   militare   gli   effetti   della
 verbalizzazione   siano   piu'   gravi   nei   confronti  soprattutto
 dell'ufficiale-giudice esposto piu' che gli altri a ritorsioni  della
 gerarchia survalente.
    Per  questi  motivi,  si  ritiene  che la norma di cui all'art. 16
 della legge n. 117/1988 confligga con gli artt. 101, secondo comma, e
 108,  secondo  comma,  della  Costituzione  nei limiti in cui intacca
 gravemente  il  principio  della   segretezza   delle   deliberazioni
 consiliari   posta   a   presidio   dell'imparziale  esercizio  della
 giurisdizione.
    Le   descritte   questioni  di  incostituzionalita'  ritenute  non
 manifestamente  infondate,  sono  certamente  anche   rilevanti   nel
 presente  procedimento,  essendo  evidente  che  la  normativa  sulla
 costituzione di questo stesso collegio, sulla responsabilita'  civile
 e   disciplinare  dei  suoi  singoli  componenti  e  sul  loro  stato
 giuridico, normativa ritenuta viziata con riferimento  alle  garanzie
 di  indipendenza  e  di imparzialita', influisce sulla formazione dei
 loro singoli convincimenti di tal che' la stessa  decisione  puo'  di
 riflesso risultare viziata.
    "Ove  si  accedesse  ad una diversa conclusione le norme ordinarie
 relative alla costituzione del  giudice,  ordinario  o  speciale,  ed
 all'effettivo  esercizio  della  potesta'  giurisdizionale, sarebbero
 assurdamente sottratte  al  vaglio  di  costituzionalita'  di  questa
 Corte,  potendo le parti non aver interesse a sollevare, in giudizio,
 eccezioni relative alla non regolare costituzione del giudice od alla
 mancanza  di adeguate garanzie d'indipendenza degli organi giudiziari
 coinvolti  nella  decisione  dei  vari  casi  di  specie"  (da  Corte
 costituzionale sentenza n. 266/1988).